Sì, avete capito bene, quello sguardo lì.
Quello sguardo che va oltre le differenze culturali.
Quello sguardo uguale in tutto il mondo, dalle Alpi agli Appennini, dalle Ande ai Pirenei.
Quello sguardo che dice: “Aoh, mo’ me te magno!”
O, nel caso specifico, “Aoh, ich esse dich!”
Io, dopo una giornata passata a parlar tedesco e a cercare d’interpretare gli stranieri segnali di approccio, di fronte a quello sguardo tanto familiare feci l’unica cosa che mi parve sensata in quel momento. Alzai i tacchi e me ne andai.
“Ci vediamo stasera alla festa”, dissi ed uscii dall’appartamento, lasciando Elmar solo e confuso.
Immagino che vi stiate chiedendo perché lo feci. Ed onestamente non saprei darvi una risposta definitiva.
Forse lo feci perché, dopo una giornata cuore a cuore con un criptico tedesco, ero stanca morta e non in vena di una bella pomiciata sul divano.
Forse lo feci perché, dopo essermi chiesta per 10 ore se gli piacessi davvero o meno, di fronte a tanta chiarezza d’intenti invece di sentirmi alleggerita mi sentii infastidita. Della serie “Ma non potevi essere più spudorato fin dall’inizio senza mettermi tanto alla prova?”
Non che volessi una manata sul sedere al primo “ciao” o mezzo metro di lingua in bocca dopo 10 minuti. Ma non avrei disdegnato qualche sorriso complice o la timida ricerca della mia mano. Insomma, tutte quelle dolcissime banalità che usiamo noi, italiche genti, che avremo i nostri difetti ma almeno facciamo capire al volo dove vogliamo andare a parare.
O forse lo feci perché, come mi è capitato spesso, se qualcuno mi piace posso essere molto sfacciata ma anche molto timida. E in quell’occasione prese il sopravvento la timidezza.
Per la sfacciataggine, comunque, ci sarebbe stato tempo. Del resto quel sabato eravamo entrambi invitati alla stessa festa e quindi ci saremmo rivisti dopo solo due ore. Una piccola pausa, un breve intervallo, un momento per tirare un poco il fiato non ci avrebbe fatto che bene.
Quindi corsi a casa e divisi la mia cena con Sissi ed Alan. Entrambi non risparmiarono domande ed ironia circa il mio lunghissimo appuntamento. Poi ognuno di noi svolse un fondamentale compito: Alan lavò i piatti, io mi feci la doccia, e Sissi, al grido di “Non ti devi far trovare impreparata!”, si mise a rovistare nel mio cassetto della biancheria intima.
Ne nacque un epico scontro di volontà ed intenti:
“Elmar non vedrà le mie mutande stasera. Quindi non è proprio il caso che tu ti dia tanto da fare”, annunciai perentoria facendo capoccella da dietro la tenda della doccia.
“E chi l’ha detto?”, rispose Sissi portando in bagno le sue intime proposte per la mia serata.
“Lo dico io!”
“Va bene, ma metti che cambi idea, non vorrai mica farti trovare con qualcosa di semplice e banale?”
“Non cambierò idea!”
“Ma nel caso succedesse?”
“Non succederà! Non l’ho neanche ancora baciato”
“Lo sai che sei parecchio bacchettona per essere in Erasmus?”
“Che vuoi che ti dica? Mi piace essere originale, distinguermi dalla massa!”
“Ma a chi la vuoi dare a bere? Tu sei solo un raro caso di donna con l’ansia da prestazione”
“E anche se fosse? Comunque ho già scelto cosa mettermi!”
“Ho visto: slip bianchi di cotone. Scordatelo: dovrai passare sul mio cadavere!”
“E, sentiamo, tu che proporresti?”
“Che ne dici di questo?”
“Ma che sei matta?”
“Ehi, non farmi fare la parte della ninfomane! Guarda che l’ho trovato nel tuo cassetto, è tuo, Santa Maria Goretti dei miei stivali!”
“Sì, è mio e mi sta pure una meraviglia, ma è troppo da panterona per stasera!”
“E che t’importa? Tanto lui non lo vedrà, giusto?”, rispose la mia amica con un’espressione da gatto perfido che si è appena mangiato il più povero e tenero dei topolini.
“Uff! E va bene lo metto!”,
“Perfetto!”, esultò Sissi avviandosi verso la porta.
Poi, un secondo prima di uscire dal bagno, “Ah, dimenticavo…”
“Che c’è ancora?”, sbuffai facendo nuovamente capoccella da dietro la tenda della doccia.
“Ti sei depilata?”
“Esci fuori dal mio bagno!”
Continua…