venerdì 26 ottobre 2012

51. Quello che le ragazze dicono

Quando ebbe finito di suonare, Elmar mi raggiunse sul divano e cominciò a guardarmi con quello sguardo.
Sì, avete capito bene, quello sguardo lì.
Quello sguardo che va oltre le differenze culturali.
Quello sguardo uguale in tutto il mondo, dalle Alpi agli Appennini, dalle Ande ai Pirenei.
Quello sguardo che dice: “Aoh, mo’ me te magno!”
O, nel caso specifico, “Aoh, ich esse dich!”
Io, dopo una giornata passata a parlar tedesco e a cercare d’interpretare gli stranieri segnali di approccio, di fronte a quello sguardo tanto familiare feci l’unica cosa che mi parve sensata in quel momento. Alzai i tacchi e me ne andai.
“Ci vediamo stasera alla festa”, dissi ed uscii dall’appartamento, lasciando Elmar solo e confuso.

Immagino che vi stiate chiedendo perché lo feci. Ed onestamente non saprei darvi una risposta definitiva.
Forse lo feci perché, dopo una giornata cuore a cuore con un criptico tedesco, ero stanca morta e non in vena di una bella pomiciata sul divano.
Forse lo feci perché, dopo essermi chiesta per 10 ore se gli piacessi davvero o meno, di fronte a tanta chiarezza d’intenti invece di sentirmi alleggerita mi sentii infastidita. Della serie “Ma non potevi essere più spudorato fin dall’inizio senza mettermi tanto alla prova?”
Non che volessi una manata sul sedere al primo “ciao” o mezzo metro di lingua in bocca dopo 10 minuti. Ma non avrei disdegnato qualche sorriso complice o la timida ricerca della mia mano. Insomma, tutte quelle dolcissime banalità che usiamo noi, italiche genti, che avremo i nostri difetti ma almeno facciamo capire al volo dove vogliamo andare a parare.
O forse lo feci perché, come mi è capitato spesso, se qualcuno mi piace posso essere molto sfacciata ma anche molto timida. E in quell’occasione prese il sopravvento la timidezza.
Per la sfacciataggine, comunque, ci sarebbe stato tempo. Del resto quel sabato eravamo entrambi invitati alla stessa festa e quindi ci saremmo rivisti dopo solo due ore. Una piccola pausa, un breve intervallo, un momento per tirare un poco il fiato non ci avrebbe fatto che bene.

Quindi corsi a casa e divisi la mia cena con Sissi ed Alan. Entrambi non risparmiarono domande ed ironia circa il mio lunghissimo appuntamento. Poi ognuno di noi svolse un fondamentale compito: Alan lavò i piatti, io mi feci la doccia, e Sissi, al grido di “Non ti devi far trovare impreparata!”, si mise a rovistare nel mio cassetto della biancheria intima.
Ne nacque un epico scontro di volontà ed intenti:
“Elmar non vedrà le mie mutande stasera. Quindi non è proprio il caso che tu ti dia tanto da fare”, annunciai perentoria facendo capoccella da dietro la tenda della doccia.
“E chi l’ha detto?”, rispose Sissi portando in bagno le sue intime proposte per la mia serata.
“Lo dico io!”
“Va bene, ma metti che cambi idea, non vorrai mica farti trovare con qualcosa di semplice e banale?”
“Non cambierò idea!”
“Ma nel caso succedesse?”
“Non succederà! Non l’ho neanche ancora baciato”
“Lo sai che sei parecchio bacchettona per essere in Erasmus?”
“Che vuoi che ti dica? Mi piace essere originale, distinguermi dalla massa!”
“Ma a chi la vuoi dare a bere? Tu sei solo un raro caso di donna con l’ansia da prestazione”
“E anche se fosse? Comunque ho già scelto cosa mettermi!”
“Ho visto: slip bianchi di cotone. Scordatelo: dovrai passare sul mio cadavere!”
“E, sentiamo, tu che proporresti?”
“Che ne dici di questo?”
“Ma che sei matta?”
“Ehi, non farmi fare la parte della ninfomane! Guarda che l’ho trovato nel tuo cassetto, è tuo, Santa Maria Goretti dei miei stivali!”
“Sì, è mio e mi sta pure una meraviglia, ma è troppo da panterona per stasera!”
“E che t’importa? Tanto lui non lo vedrà, giusto?”, rispose la mia amica con un’espressione da gatto perfido che si è appena mangiato il più povero e tenero dei topolini.
“Uff! E va bene lo metto!”, squittii mi arresi.
“Perfetto!”, esultò Sissi avviandosi verso la porta.
Poi, un secondo prima di uscire dal bagno, “Ah, dimenticavo…”
“Che c’è ancora?”, sbuffai facendo nuovamente capoccella da dietro la tenda della doccia.
“Ti sei depilata?”
“Esci fuori dal mio bagno!”

Continua…

domenica 21 ottobre 2012

50. Valzer Musette

Fedele alla mia personalissima tecnica di autosabotaggio, quel sabato mattina mi abbigliai con un paio di jeans, una magliettina anonima e un piumino dall'erotico effetto "Omino Michelin".

All'uscita della metro, messo il piede destro sul primo scalino, un dubbio mi colse: e se Elmar non fosse stato così carino come lo ricordavo? In fondo l'avevo visto solo due volte: la prima in un locale buio e fumoso, la seconda durante una festa affollata tra un alcolico britannico approccio e l'altro.
E se il suo fascino fosse stato solo il risultato di un paio di lenti a contatto appannate?
E se, presa dall'entusiasmo, l'avessi sopravvalutato?
E se? E se? E se?

Ma ormai era troppo tardi per farsi inutili domande.
Inspirai. Espirai. E presi a salire con lentezza esasperante tutti gli scalini che mi portavano verso l'aria aperta. Fuori mi attendeva una fantastica giornata di sole. E, dall'altra parte della strada, Elmar.

Lui mi vide e mi sorrise.
Era ancora più bello di quanto lo ricordassi.
Ricambiai il sorriso.

Consumammo la nostra deliziosa colazione a base di bagel, salmone, burro e germogli di soia. Il tutto innaffiato da un perfetto cappuccino.

Mangiammo e parlammo. Anzi, no.
In realtà mangiammo e parlai.
Parlai.
Parlai.
Io lo rintronavo di chiacchiere. Lui annuiva, sorrideva e taceva.

Dopo quasi due ore di questo trattamento, mi convinsi che un tale protratto e cocciuto mutismo fosse l'evidente segnale di un pentimento. E che il perticone stesse solo cercando una scusa per liberarsi di me, il suo italico e ricciuto fardello.
Decisi, dunque, di salvare almeno l'orgoglio rendendogli il tutto più semplice.
Alzandomi, iniziai: "Ok, è stato divertente, ma si è fatta una certa..."
"Aspetta! Dove stai andando?", m'interruppe.
"A casa"
"Di già? Non ti va di andare ad una mostra?"
"Una mostra?"
"Sì. Ti va?"

Era alto più di un metro e novanta. Aveva occhi verdi, lineamenti perfetti e una dentatura da spot pubblicitario. E andava pure in giro per mostre? Bello e colto?

"Sì, mi va!", colsi euforica l'occasione, aspettandomi di vedere da un momento all'altro anche maiali volanti e muli parlanti.

Elmar ed io passammo l'intera giornata assieme.
Osservammo pazzesche installazioni di artisti provenienti da tutto l'oriente. Passeggiammo tra gli alberi svettanti di uno dei tanti parchi berlinesi. Dividemmo ipercalorici snack tedeschi.

Era ormai il tramonto quando lui mi chiese:
"Ti va di venire a casa mia?"
"A casa tua?"
"Sì, così ti suono qualcosa"
"Suoni? E cosa?"
"Indovina"
"Chitarra?"
"No"
"Basso?"
"No"
"Piano?"
"No. Ti arrendi?"
"Sì, ti prego, sono un disastro. Dimmelo tu"
"La fisarmonica"
"La fisarmonica?"
"Sì, perché?"
"No. Niente. Originale."
Mentre lo guardavo, tutta l'orchestra Casadei mi suonava Romagna Mia nella testa ed io cercavo disperatamente di non scoppiare a ridergli in faccia.
Ci riuscii. Ma non fu facile.

Arrivati all'appartamento che Elmar divideva con Clena, mia amica irlandese dei tempi dello studentato, mi misi comoda sul divano. A quel punto il mio teutonico perticone si esibì in una serie di valzer francesi che, più che balera romagnola, facevano molto vecchia Parigi.

Chi l'avrebbe mai detto che pure la fisarmonica avesse un suo fascino?
L'Erasmus continuava a stupirmi.

Continua...

giovedì 18 ottobre 2012

49. Fotoromanza

Ci sono alcune regole, antiche ed obsolete, che stanno alla base della vecchia scuola di corteggiamento. Un esempio?
Ci si conosce, ci si piace, ci si scambia il numero di telefono. Tutto in scioltezza.
Poi, però, non ci si chiama immediatamente. E neanche il giorno dopo. E, spesso, neanche il giorno dopo ancora.
E perché no? Perché non si vuole sembrare troppo disperati.

In realtà, dato che questa regola la conoscono tutti, non ha molto senso applicarla, anzi.
E, infatti, mi risulta che i saggi e disinvolti giovani di adesso la ignorino.
E fanno bene. Eccome, se fanno bene!

Personalmente, l'uomo che mi chiama il giorno dopo acquista mille punti. Perché penso che sia tanto genuino e sicuro di sé dal non farsi problemi.
Se, invece, mi chiama dopo i canonici 2 o 3 giorni, penso che segua le leggi universali del corteggiamento come un (vecchio) quindicenne qualunque. E, ovviamente, invece di acquistare punti, ne perde.

Naturalmente esiste anche l'opzione femminile: "non aspetto la telefonata e chiamo io". Opzione che, da donna di mondo, ho applicato ma solo in alcuni selezionati casi.
Ma non in quel "berlinese" caso. In quell'occasione decisi di mettermi in attesa.
E perché? E chi se lo ricorda! Sono passati 12 anni!

Io aspettai la telefonata di Elmar. Ed Elmar riuscì a stupirmi.
Non positivamente.

Ci eravamo scambiati il numero di telefono (fisso) il sabato sera.
L'apparecchio tacque, come prevedibile, domenica, lunedì, e martedì.
Ma anche mercoledì.
E persino giovedì.

Durante quelle interminabili giornate, pur di non passare le ore in contemplazione davanti al telefono, trovavo ogni scusa per stare fuori casa. Poi, a sera tarda, varcavo la soglia ed ascoltavo sconsolata la segreteria.
C'erano messaggi da parte di tutto il mondo.
Marije, in visita dalla nonna, che mi faceva un salutino.
Un ex fidanzato di Anke (la mia padrona di casa) che, non sapendo della di lei lunga permanenza in Brasile, cercava insistentemente improbabili e tardivi riappacificamenti.
Sissi ed Eli che mi chiamavano per chiedermi se Elmar avesse chiamato.
Insomma, c'erano tutti tranne lui: il teutonico perticone.

La settimana volò via triste e deludente fino al venerdì sera.
Stavo consumando una cena frugale quando il telefono squillò.
Mi precipitai.
Rallentai cercando di darmi un tono.
Mi riprecipitai con la paura di non fare in tempo.
Rallentai nuovamente.
Feci un bel respiro.
Risposi.

"Pronto?"
"Anke sei tu?"
"No, Anke non c'è"
"Dov'è? Le ho lasciato dieci messaggi, perché non mi richiama?"
"Perché sta in Brasile"
"E quando torna?"
"Probabilmente mai! Troverà un bel ragazzone e ci farà tanti pargoli crucchi-carioca. Smettila d’intasare la segreteria. Addio!"

Tornai a tavola con un vago senso di colpa. Ma solo vago.

Dopo un minuto il telefono squillò nuovamente.
Sospirai e risposi, pronta a subire i meritati insulti da parte di un poveraccio che si stava solo dedicando alla vecchia e cara pratica dell’archeologia sentimentale. Ossia il ripescaggio delle ex migliori nei periodi di magra.

"Pronto, mi dispiace, stavo scherz..."
"Ciao, sono Elmar"

Alleluia alleluia alle-e-luia!
Gli angeli cantarono, le trombe squillarono ed il tempo si fermò.
Allelulia alleluia alle-e-luia!

Vi è mai capitato di condurre una conversazione telefonica con una voce controllata, a tratti annoiata, mentre in realtà saltate sul divano e ballate la samba in giro per la casa? Sì che lo avete fatto. L'abbiamo fatto tutti. Lo facciamo tutti.
Lo feci anch'io.
Il lungagnone parlava ed io ancheggiavo per la cucina.
Il perticone parlava ed io esultavo in rigoroso silenzio e scomposta esaltazione.
Infine, concluse le quattro chiacchiere di rito, Elmar si decise a chiedermi di uscire. Nello specifico, m'invitò a far colazione assieme l'indomani.
Io, dopo aver consultato la mia agenda immaginaria ed eseguito una piroetta che neanche la Fracci alla Scala, accettai.

Magari qualcuno di voi si starà anche chiedendo: "Una colazione? Ma che razza d'invito è?"
Beh, per quanto mi riguarda, l'invito a colazione in Germania è il re degli inviti!
La colazione tedesca, la Frühstück , è una sublime tradizione teutonica. Una sorta di brunch light, con dolce e salato mirabilmente abbinati. Una specie di aperitivo antimeridiano innaffiato da spremuta, cappuccino, caffè o latte macchiato.

La Frühstück è la cosa che mi manca di più dei miei giorni teutonici.
La Frühstück è una peccaminosa abitudine del fine settimana.
La Frühstück è il tavolo intorno a cui si riuniscono amici e parenti.
La Frühstück è il godurioso inizio giornata delle coppie felici. E l’unica coccola del giorno di quelle infelici.

Elmar, fortunato ed inconsapevole, scelse per il nostro primo appuntamento la Frühstück ed io, per questo, già sentivo di amarlo. Almeno un po'.

Continua...

venerdì 5 ottobre 2012

48. Il triangolo no!

Mentre Sissi era relegata in bagno a reggere la fronte di Eli, la nostra festicciola divenne il Mio Party ed io mi ersi a meravigliosa ed insostituibile padrona di casa.
Dispensai sorrisi, mi feci foto con emeriti sconosciuti, riabbracciai vecchi compagni d'avventura. Insomma, me la godetti un bel po'.

Ma il vero evento indimenticabile di tutta la serata, la parte più ridicola e divertente della festa, fu il realizzarsi di un insolito e imprevedibile triangolo. Il triangolo italo-anglo-tedesco.
Il caro Ben, ubriaco come una cucuzza, appena entrato in casa aveva palesato il proprio pensiero:
"Pancrazia, tu presto tornerai in Italia, e io credo che la nostra amicizia sia pronta per fare un passo avanti", il tutto detto con voce strascicata e sguardo tra l'alcolico annebbiato ed il lascivo.
"Wow Ben, vuoi dire che stasera ho vinto una profferta sessuale?", gli sorrisi sorpresa e divertita.
"Sì, cara, sapevo che avresti capito al volo"
"Ecco, caro, cerca di capire anche tu. Non che io non apprezzi e non sia consapevole della grande opportunità offertami, ma io ti considero come un fratello"
"Un fratello? Facciamo un cugino. Mooolto alla lontana"
"Vabbè, mai abbastanza, però", gli risposi ficcandogli una taco chips (quelle da pucciare nel guacamole di Eli) in bocca, e cercando di allontanarmi il più rapidamente e disinvoltamente possibile.

Durante la serata Ben divenne la mia ombra, il mio compagno fedele, il mio alcolico stalker.
"Vieni, Pancrazia, balliamo!", diceva prima di trascinarmi al centro del soggiorno, e appoliparsi a me come neanche Fonzie in Happy Days.
"Ben, tesoruccio, lascia perdere", gli rispondevo divincolandomi e pregando che la birra successiva lo stroncasse definitivamente, lasciandolo privo di sensi ed inoffensivo in qualche angolo.

La cosa grottesca di questo teatrino era che avesse luogo proprio sotto gli occhi esterrefatti del perticone tedesco. Egli, come avrei saputo in seguito, era venuto alla festa con un unico obiettivo: Pancraziuccia vostra! E, di fronte al curioso spettacolo dato da me e Ben, cominciò inevitabilmente a pensare che "non ci fosse trippa per gatti" (che romantica poetessa sono, eh?).

Io, dal canto mio, ce la mettevo tutta per non perdermi la teutonica occasione. E, nei momenti in cui riuscivo a sfuggire all'accerchiamento britannico, mi fiondavo dal perticone.
Ma, tempo di fare due chiacchiere in santa pace, Ben tornava inesorabilmente all'attacco. Strisciando ormai sui gomiti, si trascinava fino a me per poi accoccolarmisi a fianco, con la capoccetta riccia sulla mia spalla e l'alito fetente che, se all'epoca non fossi stata già bionda, mi ci avrebbe comunque fatta diventare in un secondo.

"Scusa, ma è il tuo ragazzo?", mi chiese dubbioso il teutonico lungagnone.
"No"
"E che mi sembrate così intimi"
"No, è solo un amico. Inglese. Ubriaco"
"Ma sei sicura che non sia innamorato di te?"
"Ma quando mai! Vorrebbe solo fare sesso, ma non ti preoccupare fra poco s'addormenta"
"Ah. Quindi voi siete 'friends with benefits'?"
"Ma quali 'friends with benefits'?!?! Noi siamo 'friends without benefits'! Anzi, se continua così, presto non saremo neanche tanto friends!"
"Se lo dici tu"
"Certo che lo dico io!"

Per fortuna, come previsto, Ben si abbandonò presto su una cassapanca e là restò a dormire tutta la notte. Il perticone ed io parlammo a lungo e poi, finalmente, ci scambiammo i numeri di telefono.
"Mi dai il tuo numero?", mi chiese lui.
"Certo. Tu mi dai il tuo?"
"Certo, prendi nota"
"E..."
"E?"
"E..."
"E?"
"Senti, scusa, me lo scriveresti tu? Col tuo nome vicino accanto. Scritto grosso. In stampatello. Che io non l'ho mica ancora capito come ti chiami!", confessai candidamente.
"ELMAR"
"E come si pronuncia?"
"ELMAR"
"Così semplicemente?"
"Sì, ELMAR"
"Nessuna 'h' aspirata in mezzo?"
"No, nessuna 'h'."
"Neanche un umlaut?"
"Neanche un umlaut"
"E come ho fatto a non capirlo finora?"
"Me lo sto chiedendo anch'io"
"Ah, ecco."

Quella sera il lungagnone tornò a casa propria con la convinzione di aver appena conosciuto una sessualmente vivace rimbambita.

Ben, al risveglio, esibì una curiosa e selettiva amnesia.

Continua...

Pancrazia in Berlin - Il Ritorno

Poche righe per avvertire i lettori distratti e i passanti ignari che dall'altra parte, su Radio Cole , sto raccontando il mio ultimo vi...