venerdì 24 agosto 2012

42. Donne senza testa e uomini senza pantaloni

"Amici, amanti, passioni, simpatie. Ma all'università Pancrazia non ci andava mai?", si chiederanno i miei affezionati lettori.

Tranquilli, ci andavo. Eccome se ci andavo.
Una volta finiti i corsi super intensivi di tedesco mi dedicai soprattutto alle lezioni pratiche in ospedale. Lezioni pratiche da cui imparai molto e che lasciarono un segno indelebile nella mia mente.

Vi siete mai chiesti come si faccia ad insegnare ad uno studente di medicina a fare una visita ginecologica? No? I tedeschi se lo sono chiesto e si sono anche dati una risposta. E che risposta!
L'università Freie di Berlin è, o almeno era fino a dodici anni fa, l'orgogliosa proprietaria di una decina di simulatori.
Sì, avete letto bene.
Simulatori ginecologici. Manichini senza testa e senza gambe utilizzati per riprodurre una visita dell'apparato genitale femminile.
Anvedi quante cose interessanti, e di cui si farebbe volentieri a meno, s'imparano leggendo Pancraziuccia vostra, eh?

Abbiate pazienza. Ora vi spiego meglio. In realtà questi simulatori, per quanto inquietanti siano, possono avere una grande validità didattica, a patto però di utilizzarli con intelligenza e buon senso.
Ma il tutto, inevitabilmente, rischia di prendere una china comica e surreale, nel caso in cui il serissimo professore teutonico ritenga opportuno vestire i panni delle pazienti, parlando in falsetto e dando vita a folli conversazioni.

"Bonciornen dottoren", diceva il Professore, cioè la paziente, insomma il manichino acefalo, con la sua vocetta flautata da overdose di elio.
"Buongiorno!" (Oh signur ma questo fa davvero? Non ridere Pancrazia! Non ridere!)
"Io ho piccolo probleminen. Lei visitare me?"
"Sì, certo, sto qua apposta" (Oh signur ma come fanno gli altri a rimanere seri? Come fanno?)

E via così con 10 studenti, 10 simulatori ed un solo Prof rubato all'Actors Studio di New York, oppure al manicomio, dipende dai punti di vista.


Per le lezioni di ortopedia, invece, non avevamo a disposizione simulatori ma pazienti veri e propri. Ma nelle occasioni in cui questi, per qualche motivo, non erano disponibili ecco che il dottore responsabile dei Praktikum proponeva:
"Cof cof...ehm ehm...oggi non possiamo andare in reparto ma volevo comunque parlarvi dell'anatomia generale. Non è che...cof cof...ehm...ehm... qualcuno di voi sarebbe disposto a mettersi in mutande?"
I tedeschi hanno un rapporto molto libero con il proprio corpo ma, per altri versi, sono estremamente formali. Ed una situazione del genere manda in tilt i loro punti di riferimento.
In Italia nessun professore chiederebbe mai una cosa del genere. In Germania sì, ma non senza grande grandissimo imbarazzo.

Nelle due distinte occasioni in cui venne fatta la singolare richiesta noi donne, italiane e tedesche, utilizzammo tutte lo stesso vecchio trucco. Trucco tramandato di generazione in generazione, di latitudine in latitudine, di longitudine in longitudine. La tecnica di "non dico niente ma faccio credere tutto".
Tecnica che si realizza abbassando lo sguardo e accennando con voce flebile "No, io OGGI proprio non posso"
A quel punto all'uomo scatta l'atavico allarme "argomento femminile delicato!" e scappa a gambe levate.

In entrambe le occasioni finì con lo spogliarsi lo stesso studente. Un biondino affatto imbarazzato e parecchio esibizionista. Sono sicura che, se ci fosse stata una terza possibilità,  si sarebbe strappato via i pantaloni in stile Full Monty.


Ma le lezioni che riuscirono ad insegnarmi di più furono sicuramente quelle di oftalmologia, o meglio la mancanza di queste ed il kafkiano inghippo burocratico che ne derivò.

Continua...

venerdì 17 agosto 2012

41. Chi manca ancora all'appello?

Vi ho già parlato delle Comari, di Ben, di Alan ed anche di Stefan.
Ma l'elenco dei miei maggiori compagni di bisbocce serali non è finito qui. Mancano ancora all'appello: David e Massimo.
Vi consiglio di mettervi comodi, leggere con calma e, se necessario, prendere appunti.

David ci fu presentato da Alan, che a sua volta ci era stato presentato da Ben.
David ed Alan erano irlandesi.
Ben era inglese.
Ben era molto amico di Alan.
Alan era molto amico di David.
David e Ben non si piacevano. Si detestavano in quel modo tranquillo, diplomatico e privo di scenate tipico degli uomini. Uscivano assieme ed erano compagnoni di bevute ma si stavano reciprocamente sulle balle. E anche molto.

A me piaceva Alan. Ad Alan piaceva Elisa. Ad Elisa piaceva David. A David piaceva soprattutto la propria immagine allo specchio.
Dopo innumerevoli manovre diversive, pressioni psicologiche, sequestri di persona e atti di vera e propria coercizione fisica si compì almeno uno dei suddetti sogni romantici. Ed Eli riuscì ad ammaliare il di lei celtico amore.

David e la comare romana, dopo un inizio un poco difficoltoso, divennero dunque una coppia. E che coppia! Dolcemente appiccicosi come il burro con la marmellata. Teneramente indispensabili l'uno all'altra come federa e cuscino. Disgustosamente inseparabili come carta moschicida e mosca spiaccicata.
Insomma divennero insopportabili, asociali e pure un pochetto stronzi.(*)
David guadagnò una compagna devota ai limiti dell'idolatria. Noi perdemmo un'amica.
Ed io, com'è evidente, ancora ne soffro.


Massimo ci fu presentato in qualità di amico, di amici, di amici.
Era italiano, quindi capiva la nostra lingua, le nostre frustrazioni e le nostre difficoltà.
Era gentile e sempre disponibile. Ascoltava le nostre lamentele, asciugava le nostre lacrime e ci teneva la fronte se esageravamo con la birra.
Divideva con noi il letto e le sedute di gossip.

"Massimo, ma ce stai a provà?"
"Sì, perché?"
"Ma non puoi! Tu sei un amico e poi sei gay"
"Ma quando mai???"
"Ah no?"
"No!"

Massimo ora vive felicemente a Berlino con una ragazza italiana, amica di amiche di amiche, conosciuta anni fa lungo strani e misteriosi percorsi.
Com'è piccolo il mondo, com'è strano il destino, e quanto sono imbarazzanti certe cantonate.

(*): l'ho detto. Ci ho messo solo dodici anni ma finalmente sono riuscita a tirare fuori la rabbia repressa da amica abbandonata. La mia analista sarebbe molto orgogliosa di me.

Continua...


martedì 7 agosto 2012

40. Stefan, il ragazzo che sussurrava ai cavalli. E neanche questi lo capivano.

Una sera d'inizio gennaio mi trovai quasi per caso in discoteca. Non uno dei miei soliti, stropicciati e sudaticci locali con solo musica rock, ma una vera discoteca berlinese dove la techno la faceva da padrona e gli uomini indossavano camice altamente infiammabili.

Quella sera i tedeschi erano più strani del solito. Al posto dei loro tipici sguardi obliqui da conquistatore timido, esibivano sorrisoni aperti e disinvolti.  Invece di fare da alcolica tappezzeria dimostravano un sospetto entusiasmo ed una sorprendente smania comunicativa.

Io non riuscivo proprio a capire quale fosse la motivazione di un tale evidente e repentino cambiamento. Erano tutti fatti come cucuzze?
O ero io a sprizzare feromoni da ogni poro?
Allibita cercai di affrontare l'argomento con i miei amici, ma questi fecero spallucce ed affermarono di non sapere di cosa stessi parlando.
Mentitori!

Fu per caso e per merito della mia vescica che scoprii la causa di tale anomalia.
Nella spasmodica ricerca dei bagni m'imbattei in un cartello che non lasciava adito a dubbi: la scritta "Fisch sucht Fahradd"(*) incorniciava un ittico ciclista.

 Oh perdindirindina!
Ero nel bel mezzo di un single party. Una tradizione tipicamente berlinese che deve il suo nome al vecchio motto femminista: "Una donna ha bisogno di un uomo, come un pesce di una bicicletta".

Quegli infingardi dei miei amici mi avevano trascinato ad una serata di quel tipo senza aver l'accortezza di avvertirmi, anzi omettendo volutamente l'informazione.
Mi diressi verso di loro col dente avvelenato, lo sguardo assassino, ed il passo marziale quando fui intercettata da un ragazzo moro in t-shirt.

Sarà dipeso dal sorriso gentile o dai bicipiti scolpiti. Onestamente non ricordo quale fu il motivo principale. Fatto sta che, invece di fare una tipica Pancraziatica scenata ai miei compari, mi fermai a parlare con Stefan.

In realtà ciò non è completamente esatto. Non mi fermai a parlare con lui, ma solo ad ascoltarlo. Ascoltarlo, ascoltarlo, senza capire assolutamente nulla.

Stefan veniva da una zona remota della Germania, tra folletti e marziani, dove non si parlava tedesco ma una lingua sconosciuta. Sconosciuta ai più tranne che a lui e ai suoi amichetti verdi.

Stefan parlava parlava parlava e nessuno lo capiva. Figurarsi io!

In realtà, scoprii immediatamente che il problema di base non era la lingua ma la velocità con cui il mio nuovo amico articolava il linguaggio. Dopo 5 minuti di frustrazione, infatti, gli chiesi:
"Scusa, ti dispiace se parliamo in inglese? Faccio proprio fatica a capirti in tedesco"
"No problem...fghjkloiuytgf bnm hjkkkk uj fvbnjk"
"Ecco. Perfetto. Così va molto meglio."
Qualunque fosse l'idioma utilizzato da Stefan, il risultato era sempre il medesimo. Il ragazzo dai bicipiti di ferro e i pettorali di marmo apriva bocca e attorno regnavano immediatamente enormi punti interrogativi, sconcerto e confusione.

Ovviamente un individuo tale ebbe il destino segnato.
Uno così non poteva che entrare a far parte del nostro gruppo.
Ce li sceglievamo col lanternino noi! Modestamente.

Continua...

(*) Pesce cerca bicicletta

Pancrazia in Berlin - Il Ritorno

Poche righe per avvertire i lettori distratti e i passanti ignari che dall'altra parte, su Radio Cole , sto raccontando il mio ultimo vi...